Sport Storytelling: la bellezza di raccontare lo sport

Storytelling sportivo

Da anni, tutte le mattine, mio padre sale in macchina e percorre oltre 80 km per raggiungere il posto di lavoro (più gli 80 del ritorno). Per me, citando una poesia di L. Cammaroto forse sconosciuta ai più, è sempre stato “il mio papà pendolare”. Da qualche tempo, però, a fargli compagnia per un breve tratto di strada, c’è la voce ritmata e coinvolgente di Francesco Graziani (non il più celebre “Ciccio”), che su Radio Rai conduce una trasmissione di Sport e Storia dal titolo “Numeri Primi – Uomini e storie senza uguali”. E anche io, da storico e sportivo, non ho potuto resistere al fascino di questo irresistibile connubio.

Sono vicende memorabili e singolari, ricche di aneddoti e riferimenti storici legati ad alcune delle figure più affascinanti dello sport italiano e internazionale, ma anche ad episodi – come quello del furto della leggendaria Coppa Rimet – poco noti al grande pubblico. Sono vite che si intrecciano in modi del tutto inaspettati, con risvolti spesso romantici o, al contrario, dai toni più mesti.

Le lunghe digressioni storiche poi, apparentemente lontane dall’argomento centrale della puntata, rappresentano invece il terreno ideale della logica narrativa. Perché nella maggior parte dei casi, i risultati sportivi, le vittorie, i traguardi tanto agognati non sono che la punta di un iceberg, vertice di un percorso umano che altrimenti non emergerebbe. Ma sono anche il risultato del tessuto sociale, politico e culturale in cui le vicende si svolgono.

Allo sport storyteller, infatti, spetta l’arduo compito di riportare alla luce quel grande frammento di ghiaccio sommerso dalle sabbie del tempo od oscurato dalla fugacità della fama appena raggiunta. L’uomo ha bisogno di emozioni e non sarà mai un freddo elenco di risultati a descrivere i dettagli di una vicenda sportiva, quanto piuttosto tutto ciò che si cela dietro la conquista di quel palmares.

Dribbling_Sigla_Sport Storytelling
Dribblig – Sigla iniziale

Ascoltando questi racconti, non ho potuto fare a meno di riflettere sul fascino che lo sport e le sue storie da sempre esercitano su di noi. E l’ho fatto perché, negli anni, ho sviluppato una grande sensibilità e una forte curiosità per l’argomento. D’altronde, Numeri Primi non è il solo programma di sport storytelling ad illuminare gli attimi più grigi della nostra routine.

Quelli della mia generazione che sono cresciuti a pane e sport non possono non ricordare l’evocativa colonna sonora dei Pink Floyd (One of these days) che, alle due in punto, annunciava l’inizio di Dribbling, o l’immancabile appuntamento in seconda serata con Sfide e il grande Alex Zanardi. Per non parlare poi, più recentemente, delle “Storie Mondiali” di Federico Buffa – diventato uno degli storyteller sportivi più noti della tv italiana – di Numeri Primi in radio, appunto, e di Romanzo Calcistico sui social network. 

Ma perché lo storytelling funziona particolarmente bene nello sport

Facendo leva sulle emozioni (come sull’ironia, d’altronde, altra grande leva del nostro spirito) lo storytelling sportivo ci permette – secondo un processo cognitivo tripartito – di entrare in empatia con persone che spesso ammiriamo, ma che sono anni luce lontane da noi, di identificarci in esse e di essere ispirati dalle loro gesta, che la narrazione ha proprio lo scopo di rendere imperiture. Qualcuno ha detto che “l’uomo ambisce al successo, ma si identifica spesso con la fragilità”. A volte, il fatto di sapere che anche i grandi campioni abbiano dovuto superare grandi ostacoli li rende meno “divini” ai nostri occhi e trasforma lo sport in un’occasione unica e irripetibile di emulazione e di rivalsa sociale

Ma lo sport ha un altro grande potere: quello di unire nella diversità, aspetto che viene naturalmente amplificato dalla narrazione. Le grandi storie devono essere raccontate, perché le grandi storie contengono grandi valori. Mi viene in mente, ad esempio, la toccante vicenda – raccontata proprio da Francesco Graziani a Numeri primi – che, all’inizio degli anni ’70, coinvolse il Rubgy britannico nel quadro dei “The Troubles“, gli scontri tra cattolici e protestanti che sfociarono nel tristemente noto “Bloody Sunday” del 1972. Nel 1973, nonostante le pressioni del momento e i legittimi timori, la nazionale inglese capitanata da John Pullin decide comunque di presentarsi a Dublino, onorando gli impegni previsti dalla competizione, il Torneo Cinque Nazioni. Gli inglesi entrano in campo quasi “scortati” dagli atleti irlandesi, accolti da uno scroscio di applausi lungo 5 minuti: un ringraziamento speciale per quegli uomini esemplari che pur perdendo la partita, saranno ricordati per aver dominato la paura.

Ora, come giornalista e storyteller, sono chiamato anche io a dare seguito a questa vocazione. La vita mi ha già dato l’opportunità di essere – insieme a Paolo Martorano – la voce “social” del più grande tennista italiano di tutti i tempi: quel Nicola Pietrangeli che ha fatto sognare generazioni di italiani sui campi di tutto il mondo. Proprio a lui si deve la frase: “la politica fa male allo sport, ma lo sport fa bene alla politica”. Lo sport più autentico si intende, latore di valori ed emozioni. Quello che lo storyteller sportivo ha il compito e la fortuna di raccontare.