Tra Fake News e algoritmi: Facebook amico o nemico del giornalismo?

Facebook amico o nemico del giornalismo

Da quando gli individui hanno ricevuto in dono la visibilità e gli strumenti necessari a diventare parte attiva nella produzione e nella diffusione di contenuti attraverso la rete, il mondo dell’informazione è profondamente cambiato: il fenomeno del citizen journalism – pur non essendo caratterizzato dallo stesso spirito epistemologico – ha assestato un duro colpo al giornalismo classico, mettendo a nudo tutte le sue carenze in fatto di credibilità e reputazione. Lo ha, in un certo senso, delegittimato, così come la rete, nelle sue infinite sfaccettature, ha scardinato i pilastri dei sistemi tradizionali in vari settori della società e del mercato (politica, food, trasporti ecc).

Il conseguente processo di convergenza di massa verso il web e i social in particolare, sia da parte degli utenti che degli editori, ha così trasformato i nuovi media (volenti o nolenti) nei canali dove oggigiorno la maggior parte delle persone si aggiorna, almeno sulle tematiche tradizionali. Secondo datamediahub, ad esempio, il 78% ha fiducia nelle notizie condivise online da conoscenti e familiari mentre quella negli “esperti accademici” è al 65% e addirittura al 44% per i giornalisti. Diverso è il caso di chi, in modo più consapevole, decide di informarsi sempre attraverso il web (effettuando spontaneamente una ricerca) o di chi, d’altro canto, ha bisogno di un’informazione specialistica. 

Nel caso specifico di Facebook, quindi, presa ormai coscienza di giocare un ruolo fondamentale nel discorso pubblico, Zuckerberg ha affermato di voler tendere una mano al mondo dell’informazione, dichiarando più volte quanto il giornalismo tradizionale possa essere prezioso (si veda ad esempio questo post del 23 agosto 2017, ma anche il lancio del Facebook Journalism Project), soprattutto nella lotta alle Fake News. Facendo seguito a questi intenti – e probabilmente anche nell’interesse aziendale di continuare ad alimentare il traffico di notizie su Facebook – in un post del 19 gennaio 2018 il CEO dell’azienda di Menlo Park ha detto di voler combattere questo problema affidando direttamente agli iscritti il compito di segnalare eventuali notizie false che transitano all’interno della piattaforma. 

Sebbene un intervento di questa portata sia stato a lungo auspicato e, in un certo senso, invocato (anche da numerosi esponenti politici), la decisione di affidare tale “responsabilità” agli utenti è stata accolta con non poche riserve. Il rischio, secondo alcuni, è che questi, oltre ad essere abilitati alla produzione di contenuti dotati di grande forza virale senza essere in possesso di alcuna licenza e senza seguire alcun codice deontologico, possano in qualche modo forgiarsi anche del ruolo di “giudici”. Nonostante tutto ciò avvenga in collaborazione con Pagella Politica (un’agenzia specializzata in fact-cheking), è indubbio che la ratio alla base di queste iniziative sia inequivocabilmente figlia del tempo in cui viviamo e si collochi all’interno di un più ampio processo di delega dell’autorevolezza alle community (e cioè alla cosiddetta intelligenza collettiva).

Nell’attesa che il tempo ci dica se si sia trattato di iniziative realmente valide e di pubblica utilità, tuttavia, qualche dubbio rimane. Le Fake News, d’altronde, sono sempre esistite e l’avvento dei social ha solamente accentuato la portata e l’incisività di un fenomeno già largamente diffuso. Mentre prima, però, si trattava di “parole al vento” o leggende metropolitane, ora sembra quasi che qualsiasi cosa passi su internet sia seriamente degna di considerazione. A mio avviso, quindi, è fondamentale che gli individui si impegnino ad accrescere la propria cultura digitale, acquisendo consapevolezza sulle nuove modalità di accesso all’informazione (con rischi connessi), soprattutto alla luce dei recenti fatti di cronaca.

In questo quadro, il mercato editoriale è palesemente di fronte ad un bivio. Se, infatti, l’avvento di Facebook può aver rappresentato per il giornalismo un “nemico” a livello sistemico – avendo scardinato tutte le certezze su cui quel mondo si basava – probabilmente oggi sta offrendo allo stesso una grande occasione (che va decisamente oltre le nobili dichiarazioni d’intenti): quella di poter ripensare la sua stessa identità. 

Il giornalista del futuro non sarà più solo un “curatore dell’informazione“, ma sarà colui che, grazie alla sua consapevolezza, sarà capace di intercettare quel bisogno latente di informazione, di contenuti di qualità e di verità che i lettori desiderano e ricercano, offrendo in particolar modo inchieste e analisi sui fatti del proprio tempo, anche grazie alla rete. Allo stesso tempo, però, è fondamentale una svolta culturale (improntata, come dicevo, sull’educazione digitale) che porti gli utenti “medi” (perché di informazione media parliamo) ad utilizzare semplicemente un po’ più di buon senso e a comprendere meglio le logiche dei social; logiche che, in un certo senso, acuiscono una polarizzazione che nel mondo dell’informazione è comunque sempre esistita.